«Portatemi delle anime»
I missionari continueranno a fare del loro meglio, ma non sarebbe meglio se io e voi ci impegnassimo in un’opera che ci compete di diritto?
Molti anni fa, stavo guidando lungo l’University Avenue vicino all’imboccatura del Provo Canyon, quando vidi il segnale di rallentare. Davanti c’erano macchine della polizia con le luci lampeggianti accese, un camion dei pompieri e diversi veicoli del gruppo di soccorso ammassati insieme che bloccavano l’accesso al canyon. Inizialmente ero un po’ seccato, giacché sembrava che saremmo rimasti fermi a lungo. Ero però anche incuriosito: a che cosa era dovuta tutta quella confusione?
Guardando il versante est dell’entrata nel canyon scorsi alcuni uomini che si arrampicavano. Supposi che fosse la squadra di ricerca e soccorso. Dove stavano andando? Alla fine lo capii. In qualche modo una pecora smarrita si era arrampicata e si era bloccata a circa 8 metri d’altezza. Non era una capra né una pecora di montagna, ma soltanto una femmina da latte separata dal gregge di un pastore.
Visto che non avevo altro da fare, cercai sul versante del canyon un sentiero per arrivare a dove si trovava l’animale. Non riuscii a immaginare come avesse fatto ad arrivare lassù. Ciò nonostante, la pecora era lì e tutte le persone davanti a me seguivano il suo salvataggio. A tutt’oggi non conosco la fine della storia, poiché la polizia trovò il modo di ripristinare il traffico.
Mentre mi allontanavo, un pensiero mi turbò: benché il gruppo di soccorso fosse senza dubbio ben intenzionato, come avrebbe reagito la pecora nei loro confronti? Penso che avessero un piano per calmarla, forse le avrebbero sparato un tranquillizzante da vicino, in modo da afferrarla prima che precipitasse. Pur non conoscendo il piano, ma sapendo un po’ come gli animali reagiscono quando sono messi in un angolo da sconosciuti, ero preoccupato in merito all’efficacia dell’impresa. E poi mi chiesi: «Dov’è il pastore?» Sicuramente sarebbe stata la persona più adatta per avvicinarsi alla pecora senza intimorirla. La sua voce rassicurante e la sua mano tesa erano ciò che ci voleva, ma lui sembrava non essere presente.
Come membri della Chiesa, talvolta sembriamo lontani dal campo d’azione, proprio come questo pastore. Pensate per un momento a ciò che il presidente Monson disse ai presidenti di missione appena chiamati durante il seminario dedicato a loro nel 2008. Affermò: «Non c’è sostituto al programma di proselitismo basato sui fedeli. Bussare di casa in casa non lo sostituisce. Le domande d’oro non lo sostituiscono. Il programma basato sui fedeli è la chiave al successo e funziona ovunque lo proviamo» («Motivating Missionaries», 22 giugno 2008, 8).
Sotto questa luce, i membri missionari, ossia io e voi, siamo i pastori, mentre i missionari a tempo pieno, come il gruppo di soccorso, stanno cercando di fare da soli qualcosa di quasi impossibile per loro. Ovviamente, i missionari continueranno a fare del loro meglio, ma non sarebbe meglio se io e voi ci impegnassimo in un’opera che ci compete di diritto e per la quale siamo più adatti, dal momento che conosciamo personalmente coloro che si sono persi e che hanno bisogno di essere salvati?
Vorrei concentrarmi sui tre obiettivi per i fedeli che si trovano in Dottrina e Alleanze. Ciascuno ci incoraggia a farci trovare in azione quando gli amici, i vicini e i parenti hanno bisogno di noi. Ciò dovrebbe includere anche coloro che si sono persi, ossia i meno attivi. Tutti noi ovremmo essere migliori membri missionari.
Nella Sezione 88 di Dottrina e Alleanze, al versetto 81 leggiamo: «Conviene ad ogni uomo che è stato avvertito di avvertire il suo prossimo». Ho avuto il privilegio di viaggiare in molti pali della Chiesa e di incoraggiare la crescita e lo sviluppo delle missioni di rione. Per me è stata un’esperienza molto gratificante e spirituale. In questi viaggi ho scoperto, cosa confermata da una recente indagine, che più di metà della popolazione statunitense e canadese ci conosce poco o nulla per quanto riguarda le nostre pratiche e il nostro credo. Sono sicuro che la percentuale sia ancora molto più alta in altre parti del mondo. L’indagine ha mostrato, inoltre, che quando coloro che non appartengono alla Chiesa interagiscono per un periodo esteso con i membri che sono fedeli, o sono esposti a informazioni chiare e corrette sul nostro credo e le nostre dottrine, il loro atteggiamento diviene positivo e aperto.
La Chiesa ha circa cinquantamila missionari a tempo pieno che servono nel mondo. Predicare il mio Vangelo ha contribuito a renderli i migliori insegnanti del vangelo di Gesù Cristo che abbiamo avuto nella storia della Chiesa. Purtroppo, la maggior parte di loro trascorre più tempo a cercare di trovare le persone che ad insegnare. Considero i nostri missionari a tempo pieno delle risorse didattiche sottoutilizzate. Se io e voi cercassimo di più le persone per i missionari a tempo pieno, lasciando che insegnino di più a coloro che portiamo loro, allora inizierebbero ad accadere grandi cose. Quando attendiamo che i missionari avvertano i nostri vicini invece di farlo noi, perdiamo un’occasione d’oro di far crescere la Chiesa.
Dovrebbe essere «con grande serietà» (DeA 123:14) che portiamo la luce del Vangelo a coloro che stanno cercando le risposte che il piano di salvezza offre. Molti si preoccupano della loro famiglia. Altri vogliono sentirsi sicuri in un mondo in cui i valori continuano a cambiare. Noi abbiamo la possibilità di fornire loro speranza e coraggio, come pure d’invitarli a venire con noi, unendosi a coloro che abbracciano il vangelo di Gesù Cristo, che è sulla terra e sarà loro di beneficio in questa vita e nell’eternità a venire.
Il Vangelo è incentrato sull’espiazione del nostro Signore e Salvatore. L’Espiazione fornisce il potere necessario per lavare via i peccati, per guarire e per accordare la vita eterna. Tutte le benedizioni imponderabili dell’Espiazione possono essere conferite soltanto a coloro che osservano i principi e ricevono le ordinanze evangeliche: fede in Gesù Cristo, pentimento, battesimo, ricevimento dello Spirito Santo, perseveranza sino alla fine. Il nostro grande messaggio missionario al mondo è che l’umanità intera è invitata a lasciarsi salvare e a entrare nel gregge del Buon Pastore, cioè Gesù Cristo.
Il messaggio missionario è rafforzato dalla conoscenza della Restaurazione. Sappiamo che oggi Dio parla ai Suoi profeti, proprio come fece anticamente. Sappiamo inoltre che il Suo vangelo è amministrato con il potere e l’autorità del sacerdozio restaurato. Nessun altro messaggio riveste tale grandioso significato eterno per ogni anima che oggi vive sulla terra. Tutti noi dobbiamo insegnare questo messaggio con potere e convinzione. È il suono dolce e sommesso dello Spirito Santo che attesta per nostro tramite il miracolo della Restaurazione ma, innanzi tutto, dobbiamo aprire la bocca e rendere testimonianza. Dobbiamo avvertire il nostro prossimo.
Ciò mi porta al secondo passo scritturale di Dottrina e Alleanze che vorrei menzionarvi. Mentre il versetto 81 della Sezione 88 ci insegna che il lavoro missionario è responsabilità di tutti noi non appena siamo a nostra volta stati avvertiti, i versetti dal 7 al 10 della Sezione 33 ci insegnano di aprire la bocca.
Il versetto 7 non lascia dubbi nella mente di chi ha memorizzato la Sezione 4 di Dottrina e Alleanze che il Signore ci stia parlando del lavoro missionario: «Sì, in verità, in verità vi dico che il campo è bianco, pronto per la mietitura; pertanto, affondate la falce e mietete con tutta la vostra facoltà, mente e forza».
Giunge poi una triplice ingiunzione di aprire la bocca:
«Aprite la bocca, ed essa sarà riempita, e diventerete come l’antico Nefi, che viaggiò da Gerusalemme nel deserto.
Sì, aprite la bocca e non risparmiatevi, e sarete caricati di covoni sulla schiena, poiché ecco, io sarò con voi.
Sì, aprite la bocca ed essa sarà riempita, e dite: Pentitevi, pentitevi e preparate la via del Signore e raddrizzate i suoi sentieri; poiché il regno dei cieli è alle porte» (versetti 8–10).
Che cosa direbbe ognuno di noi se dovesse aprire la bocca tre volte? Vorrei fornirvi un suggerimento: per prima cosa, dovremmo dichiarare il nostro credo in Gesù Cristo e nella Sua espiazione. Il Suo gesto redentore offre al genere umano il dono dell’immortalità e il potenziale di godere del più grande dono divino fatto all’uomo, ossia la vita eterna.
La seconda volta che apriamo bocca dovremmo raccontare con parole nostre la storia della Prima Visione, vale a dire dovremmo parlare di un ragazzo che non aveva ancora quindici anni, che si recò in un bosco e davanti al quale, dopo una preghiera sincera e umile, si aprirono i cieli. Dopo secoli di confusione, la vera natura della Divinità e i veri insegnamenti divini furono rivelati al mondo.
La terza volta che apriamo bocca, possiamo noi attestare la veridicità del Libro di Mormon, un altro testamento di Gesù Cristo. Questo libro è complementare alla Bibbia nel fornirci una maggiore comprensione delle dottrine del vangelo del nostro Salvatore. Il Libro di Mormon è una prova tangibile che Joseph Smith era veramente un profeta di Dio. Se il Libro di Mormon è veritiero, allora c’è stata una restaurazione del sacerdozio. Se il Libro di Mormon è veritiero, allora con il potere di tale sacerdozio Joseph Smith restaurò la chiesa di Gesù Cristo.
Nella mia attuale lettura del Libro di Mormon ho appena concluso Il Libro di Alma. Verso la fine di un grande discorso diretto ai fedeli di Zarahemla, Alma proferì:
«Poiché qual pastore c’è fra voi, che avendo molte pecore non veglia su di esse, affinché i lupi non entrino a divorare il suo gregge? Ed ecco, se un lupo entra nel suo gregge, non lo caccia egli fuori? Sì, e alla fine, se può, lo annienterà.
Ed ora io vi dico che il buon pastore vi chiama, e se darete ascolto alla sua voce, egli vi porterà nel suo gregge e voi sarete le sue pecore; ed egli vi comanda di non lasciare entrare fra voi nessun lupo vorace, affinché non siate distrutti» (Alma 5:59–60).
Il Salvatore è il Buon Pastore e siamo tutti chiamati al Suo servizio. La pecora sulla parete rocciosa che costeggia l’imboccatura del Provo Canyon e queste parole di Alma mi ricordano la domanda che il Salvatore pose nel quindicesimo capitolo di Luca: «Chi è l’uomo fra voi, che, avendo cento pecore, se ne perde una, non lasci le novantanove nel deserto e non vada dietro alla perduta finché non l’abbia ritrovata?» (versetto 4).
Di solito, quando penso a condurre un gregge, penso ai requisiti o all’intendenza del pastore di fare ogni cosa in suo potere per tutte le sue pecore. Quest’esperienza, tuttavia, mi ha ricordato quella della parabola della pecora smarrita e i miei pensieri si sono volti alla situazione precaria di quella pecora, tutta sola e incapace di arrampicarsi sulla parete rocciosa e ugualmente incapace di girarsi e di scendere. Quanto deve essersi sentita sconvolta e senza speranza, completamente impotente, a un passo da una tragedia certa.
È importante che tutti noi meditiamo su come ci si sente a essere persi e su ciò che significa essere un pastore «spirituale» che lascia le novantanove per cercare quella smarrita. Questi pastori possono aver bisogno dell’esperienza e dell’aiuto della squadra di soccorso, ma sono presenti, al loro posto, e si arrampicano per salvare coloro che sono infinitamente preziosi agli occhi di Dio, poiché sono Suoi figli. Tali pastori rispondono all’ultima ingiunzione che vorrei citarvi da Dottrina e Alleanze sull’essere membri missionari:
«E se accadrà che doveste faticare tutti i vostri giorni nel gridare il pentimento a questo popolo, per portare non fosse che una sola anima a me, quanto sarà grande la vostra gioia in sua compagnia nel regno di mio Padre!
Ed ora, se la vostra gioia sarà grande con una sola anima che mi avete portato nel regno di mio Padre, quanto sarà grande la vostra gioia se mi portate molte anime!» (DeA 18:15–16).
Come anche le Scritture insegnano, questi pastori provano una gioia inesprimibile. Di questo vi rendo testimonianza nel nome di Gesù Cristo. Amen.