2000–2009
«Vegliate meco»
Aprile 2001


«Vegliate meco»

«Mentre veglierete sulle Sue pecore, il vostro amore per il Signore crescerà. E con esso sentirete crescere la vostra fiducia e il vostro coraggio».

Sono molto grato ed è un onore per me poter parlare nel nome del Signore ai pastori d’Israele. Noi siamo i pastori d’Israele. Quando abbiamo ricevuto il sacerdozio abbiamo preso su di noi l’impegno di fare la nostra parte nel vegliare sulla Chiesa. Nessuno di noi può sfuggire a questa responsabilità. Il presidente del sacerdozio di tutto il mondo si fa carico della responsabilità totale. Mediante le chiavi del sacerdozio ogni quorum si fa carico della sua parte. Anche il diacono di più recente chiamata nel luogo più remoto della terra ha la sua parte di responsabilità nel grande compito di vegliare sulla Chiesa.

Ascoltate queste parole tratte da Dottrina e Alleanze: «Perciò, che ognuno stia nel suo proprio ufficio e lavori nella sua propria chiamata; e la testa non dica ai piedi che non ha bisogno dei piedi; poiché, senza i piedi, come potrà star ritto il corpo?» Poi il Signore include anche i diaconi nell’elenco che Egli fa degli incarichi: «i diaconi e gli insegnanti dovrebbero essere incaricati di vegliare sulla chiesa, di essere ministri residenti per la chiesa» (DeA 84:109, 111).

Prego di poter spiegare il nostro sacro incarico in modo che anche il diacono e il convertito di più recente chiamata possano comprendere questa loro responsabilità. Molte volte, nelle Scritture, il Signore ha descritto se stesso e coloro che Egli chiama al sacerdozio come dei pastori. Un pastore veglia sul gregge. Nelle storie contenute nelle Scritture le pecore sono in pericolo, hanno bisogno di protezione e nutrimento. Il Salvatore ci avverte che dobbiamo vegliare sulle pecore allo stesso modo in cui Egli lo fa. Egli ha dato la vita per loro. Esse sono Sue. Non potremo mai neanche pensare di arrivare al Suo livello di amore se, come dei servi alle dipendenze, ci impegnamo a vegliare soltanto quando è conveniente e solo in cambio di una ricompensa. Egli descrive così il Suo livello d’impegno:

«Io sono il buon pastore: il buon pastore mette la sua vita per le pecore.

Il mercenario, che non è un pastore, a cui non appartengono le pecore, vede venire il lupo, abbandona le pecore e si dà alla fuga, e il lupo le rapisce e disperde» (Giovanni 10:11–12).

I membri della Chiesa sono le pecore. Esse sono Sue e noi siamo chiamati da Lui a vegliare su di loro. Dobbiamo fare più che metterle in guardia dai pericoli. Dobbiamo nutrirle. Una volta, molto tempo fa, il Signore comandò a un Suo profeta di rimproverare i pastori d’Israele. Ecco l’ammonimento, che è valido ancora oggi, contenuto nelle parole del profeta Ezechiele:

«E la parola dell’Eterno mi fu rivolta in questi termini:

‹Figliuol d’uomo, profetizza contro i pastori d’Israele… e di’ a quei pastori: Così parla il Signore, l’Eterno: Guai ai pastori d’Israele, che non han fatto se non pascer se stessi! Non è forse il gregge quello che i pastori debbon pascere?›» (Ezechiele 34:1–2).

Il cibo che quei pastori hanno tenuto per sé, lasciando morire di fame le pecore, poteva condurre le pecore alla salvezza. Uno dei grandi pastori menzionati nel Libro di Mormon descrisse quale deve essere il cibo e in quale modo questo cibo può essere somministrato:

«E dopo essere stati ammessi al battesimo, ed essere stati trasformati e purificati dal potere dello Spirito Santo, essi erano annoverati fra il popolo della chiesa di Cristo; e i loro nomi erano scritti, affinché potessero essere ricordati e nutriti mediante la buona parola di Dio, per mantenerli sulla retta via, per mantenerli continuamente vigilanti nella preghiera, confidando unicamente nei meriti di Cristo, che era l’autore e il perfezionatore della loro fede» (Moroni 6:4).

È doloroso immaginare un pastore che si nutre lasciando morire di fame le pecore. Tuttavia molte volte ho visto con i miei occhi pastori che nutrivano il proprio gregge. Uno di questi era un presidente di un quorum di diaconi. Un membro del suo quorum viveva nei pressi di casa mia. Quel ragazzo, un mio vicino di casa, non aveva mai frequentato una riunione del quorum né fatto mai niente insieme ai membri del suo quorum. Il suo patrigno non era membro della Chiesa e sua madre non frequentava la Chiesa.

Una domenica mattina la presidenza del quorum dei diaconi del quale faceva parte si riunì in consiglio. Ogni settimana quei diaconi venivano nutriti della buona parola di Dio da un bravo consulente e insegnante. Nel corso della riunione di presidenza del quorum, quei pastori di tredici anni rammentarono il ragazzo che non era mai venuto. Essi parlarono di quanto anch’egli avesse bisogno di quello che veniva loro insegnato. Il presidente incaricò il suo consigliere di andare a cercare quella pecorella smarrita.

Sapevo che il consigliere era un ragazzo timido ed ero consapevole della difficoltà del compito assegnatogli, così, dalla finestra di casa mia, guardai con ammirazione il consigliere percorrere faticosamente la strada che portava su fino alla casa del ragazzo che non era mai venuto in chiesa. Il pastore teneva le mani in tasca. Gli occhi guardavano a terra. Camminava piano, come camminereste voi se non foste convinti di dover andare laddove vi state recando. Dopo venti minuti egli ridiscese quella strada accompagnato dal diacono smarrito. Questa scena si ripeté per diverse domeniche, poi il ragazzo che si era smarrito ed era stato ritrovato si trasferì altrove.

Questa storia non sembra degna di nota. Erano soltanto tre ragazzi seduti in una stanza attorno a un tavolino. Poi un ragazzo ha percorso una strada da solo ed è tornato indietro insieme a un altro ragazzo. Ma, anni più tardi, mi trovavo ad assistere a una conferenza di palo in un altro continente, lontano da quella stanza nella quale ebbe luogo quella riunione di presidenza. Un uomo canuto venne verso di me e disse dimessamente: «Il mio pronipote viveva nel suo rione anni fa». Mi parlò con tenerezza della vita di quel ragazzo. E poi mi chiese se potevo trovare quel diacono che tanti anni prima percorse faticosamente quella strada; e mi chiese se potevo ringraziarlo e dirgli che suo pronipote, oggi diventato un uomo, si ricordava ancora di lui.

Egli non aveva dimenticato perché in quelle poche settimane, per la prima volta nella sua vita, per quanto potesse ricordare, si era sentito protetto dai pastori d’Israele. Era stato avvertito dell’esistenza della verità eterna da persone che si curavano di lui. Gli era stato offerto il pane della vita. E dei giovani diaconi si erano comportati in modo da non tradire la fiducia che il Signore aveva riposto in loro.

Non è facile imparare a svolgere bene questo compito e a svolgerlo in maniera costante. Il Salvatore ci ha mostrato come fare e in che modo addestrare gli altri a farlo. Egli istituì la Sua chiesa. Egli doveva lasciare la Sua chiesa nelle mani di servitori inesperti, proprio come lo sono molti di noi. Egli sapeva che avrebbero dovuto superare delle difficoltà che andavano oltre la loro forza umana. Ciò che Egli fece per loro può rappresentare una guida per noi.

Quando il Salvatore si ritirò nel Giardino di Getsemani per affrontare la sofferenza amara dell’agonia, prima di essere tradito e crocifisso, avrebbe potuto recarvisi da solo, invece prese con sé i Suoi compagni del sacerdozio. Questo è il racconto di Matteo: «Allora disse loro: L’anima mia è oppressa da tristezza mortale; rimanete qui e vegliate meco» (Matteo 26:38; corsivo dell’autore).

Il Salvatore pregò il Padre Suo per ricevere forza. Nel mezzo della Sua agonia, Egli tornò da Pietro per insegnargli quello che significa per tutti gli uomini vegliare con Lui:

«Poi venne a’ discepoli, e li trovò che dormivano, e disse a Pietro: Così, non siete stati capaci di vegliar meco un’ora sola?

Vegliate ed orate, affinché non cadiate in tentazione; ben è lo spirito pronto, ma la carne è debole» (Matteo 26:40–41).

C’è una rassicurazione e un ammonimento insieme in questo semplice scambio di parole del Maestro con i Suoi pastori. Egli veglia con noi. Egli, che vede ogni cosa, il cui amore è infinito, e che non dorme mai, veglia con noi. Egli sa di cosa hanno bisogno le pecore in ogni momento. Tramite il potete dello Spirito Santo Egli può comunicarcelo e mandarci da loro; e noi possiamo, per il potere del sacerdozio, invitare il Suo potere a scendere in loro aiuto.

Ma l’ammonimento a Pietro è rivolto anche a noi. Il lupo che uccide le pecore spiritualmente attaccherà sicuramente anche il pastore. Dunque, dobbiamo vegliare su noi stessi e anche sugli altri. Come pastori, saremo tentati ad arrivare sull’orlo del baratro del peccato. Ma il peccato, in ogni sua forma, offende lo Spirito Santo. Non dovete fare niente o andare in nessun posto che possa offendere lo Spirito. Non potete permettervi questo rischio. Se il peccato dovesse essere la causa del vostro fallimento, non sareste responsabili soltanto dei vostri propri peccati, ma anche del dolore che avreste potuto evitare ad altre persone se foste rimasti degni di ricevere e seguire i suggerimenti dello Spirito. Il pastore deve essere in grado di percepire la voce dello Spirito e invocare i poteri del Cielo, o verrà meno allo scopo della sua chiamata.

L’ammonimento dato a un profeta dell’antichità è validissimo anche per noi oggi: «Ora, o figliuol d’uomo, io ho stabilito te come sentinella per la casa d’Israele; quando dunque udrai qualche parola dalla mia bocca, avvertili da parte mia.

Quando avrò detto all’empio: – Empio, per certo tu morrai! – e tu non avrai parlato per avvertir l’empio che si tragga dalla sua via, quell’empio morrà per la sua iniquità, ma io domanderò conto del suo sangue alla tua mano» (Ezechiele 33:7–8).

La punizione per il fallimento è severissima. Ma il Signore ha insegnato a Pietro come gettare le basi per ottenere il successo. Egli ripeté tre volte un semplice messaggio che diceva che l’amore per il Signore deve albergare nel cuore di un vero pastore. Ecco la fine del racconto:

«Gli disse per la terza volta: Simon di Giovanni, mi ami tu? Pietro fu attristato ch’ei gli avesse detto per la terza volta: Mi ami tu? E gli rispose: Signore, tu sai ogni cosa; tu conosci che io t’amo. Gesù gli disse: Pasci le mie pecore» (Giovanni 21:17).

È l’amore che deve motivare i pastori d’Israele. Questo può sembrare difficile all’inizio, perché possiamo non conoscere il Signore molto bene. Ma se cominciamo anche soltanto con un piccolo seme di fede in Lui, il nostro servizio nei confronti delle pecore accrescerà il nostro amore per Lui e per loro. Questo deriva dalle cose semplici che ogni pastore deve fare. Preghiamo per le pecore, per tutte quelle di cui siamo responsabili. Quando chiediamo, «Per favore, dimmi chi ha bisogno di me», le risposte arriveranno. Nella nostra mente affiorerà un volto o un nome. Oppure potremo fare un incontro fortuito e sentire che non si tratta di fortuna. In quei momenti sentiremo tutto l’amore che il Signore ha per loro e per noi. Mentre veglierete sulle Sue pecore, il vostro amore per il Signore crescerà. E con esso sentirete crescere la vostra fiducia e il vostro coraggio.

Adesso potete pensare: «Non è così semplice per me. Devo vegliare su tante persone; e ho così poco tempo». Ma quando il Signore chiama, Egli prepara sempre la via, la Sua via. Vi sono pastori che credono questo. Vi racconterò la storia di uno di questi pastori.

Due anni fa, un uomo fu chiamato come presidente del quorum degli anziani al quale apparteneva. Egli era membro della Chiesa da meno di dieci anni. Si era da poco qualificato per essere suggellato a sua moglie e alla sua famiglia. Sua moglie era invalida. Egli aveva tre figlie. La più grande aveva tredici anni e preparava i pasti; insieme alle altre due si prendeva cura della casa. Con i suoi scarsi guadagni di operaio manteneva non soltanto la sua famiglia di cinque persone, ma anche un nonno che viveva con loro nella loro piccola casa.

Al tempo della sua chiamata alla presidenza del quorum degli anziani, il quorum era composto di tredici membri. Quel piccolo gruppo era responsabile di altri centouno uomini, alcuni del quali non avevano mai ricevuto il sacerdozio oppure erano diaconi, insegnanti o sacerdoti. Egli aveva il compito di vegliare sulle anime di centoquattordici famiglie, con poca speranza di poter dedicare a questa chiamata qualcosa di più delle sue domeniche e una sera alla settimana, per via di tutto quello che doveva fare per la sua famiglia.

La difficoltà dell’impresa che doveva affrontare lo condusse ad inginocchiarsi in preghiera. Poi si alzò e si mise al lavoro. Gli sforzi che fece per incontrare e conoscere le sue pecorelle, lo portarono a ricevere le risposte alle sue preghiere in modo inaspettato. Riusciva a vedere aldilà delle apparenze. Egli pervenne così alla conoscenza di quanto il Signore aveva in serbo per lui: edificare le famiglie. E nonostante la sua esperienza limitata, egli sapeva che il modo giusto di edificare le famiglie era di aiutarle a qualificarsi per fare e osservare le sacre alleanze del tempio.

Egli cominciò col fare quello che un buon pastore fa sempre, ma lo fece in modo diverso quando ebbe la visione del tempio come destinazione per quelle persone. Egli pregò per sapere chi dovevano essere i suoi consiglieri che dovevano accompagnarlo. E poi pregò per sapere quali famiglie avevano bisogno di lui ed erano state preparate.

Egli contattò tutte le famiglie che gli fu possibile chiamare. Alcune furono fredde e non accettarono la sua amicizia. Ma con quelle che accettarono, egli seguì un piano. Appena notava un certo interesse e fiducia da parte delle persone avvicinate, le invitava ad incontrare il vescovo. Egli aveva chiesto al vescovo: «La prego, dica loro quello che devono fare per essere degni di andare al tempio e riceverne le benedizioni per sé e le loro famiglie. E poi, la prego, porti loro testimonianza, come ho fatto io, che vale veramente la pena farlo».

Alcuni poi accettarono l’invito del presidente del quorum a seguire un corso di preparazione per il tempio tenuto da dirigenti del palo. Non tutti completarono il corso e non tutti si qualificarono per andare al tempio. Ma per ogni famiglia e per ogni padre furono dette delle preghiere. La maggior parte di essi furono invitati almeno una volta a nutrirsi mediante la buona parola di Dio. Ogni invito era accompagnato dalla testimonianza del presidente sui benefici di essere una famiglia suggellata per sempre, e sulla tristezza che significa essere separati. Ogni invito veniva formulato con l’amore del Salvatore.

Durante il suo incarico di presidente, dodici degli uomini ai quali aveva insegnato erano stati ordinati al grado di anziani. Quattro anziani del suo quorum erano stati ordinati sommi sacerdoti. Questi numeri non si avvicinano neppure all’idea di miracolo. Le famiglie di quegli uomini saranno benedette nelle generazioni future. I padri e le madri sono adesso suggellati l’uno all’altra e ai loro figli. Essi pregano per i loro figli, e con l’aiuto ricevuto dal Cielo insegnano loro il Vangelo con l’amore e l’ispirazione che il Signore elargisce ai genitori fedeli.

Quel presidente e i suoi consiglieri sono diventati dei pastori fedeli. Essi hanno vegliato sul gregge insieme al Maestro e sono arrivati ad amarLo. Essi sono testimoni oculari della verità di ciò che il Salvatore insegnò all’apostolo Thomas B. Marsh e a tutti coloro che vegliano insieme al Signore sul Suo gregge:

«Va’ quindi ovunque io voglia, e ti sarà dato dal Consolatore ciò che dovrai fare e dove dovrai andare.

Prega sempre, per timore di entrare in tentazione e di perdere la tua ricompensa.

Sii fedele fino alla fine, ed ecco, io sono con te. Queste parole non sono d’uomo né di uomini, ma mie, sì, di Gesù Cristo, il tuo Redentore, per volontà del Padre. Amen» (DeA 31:11–13).

Porto testimonianza che Dio Padre vive e risponde alle nostre preghiere. Sono testimone del fatto che il Salvatore ci ama e veglia sulle Sue pecore insieme ai Suoi fedeli pastori.

Nel nome di Gesù Cristo. Amen.