2004
Tutto ben
Luglio 2004


Tutto ben

La prima volta che ascoltai veramente con il cuore l’inno «Santi, venite» ( Inni , 21) fu in una piccola cappella dell’Idaho meridionale dove sono vissuto da ragazzo. In quella piccola cappella costruita con pietra lavica dai membri della Chiesa del luogo verso il 1890 c’era un podio molto simile a quello che abbiamo oggi, e dietro c’era un organo a canne simile al bellissimo strumento che abbiamo nel Tabernacolo della Piazza del Tempio, anche se più piccolo. In quella piccola cappella, quando cantavamo «Santi, venite» di William Clayton, sentivo lo spirito e il potere della musica che sembravano sollevare il tetto. Si sentiva grazie al potere, alla fede e alla testimonianza dei fedeli.

Il padre di William Clayton era un insegnante e William aveva ricevuto una buona istruzione. Era abile con la penna, era abile a far di conto, era abile a scrivere e a tenere una documentazione dei fatti. Fu istruito e battezzato dal gruppo di missionari guidati da Heber C. Kimball nei primi tempi della Chiesa in Inghilterra. Essi lo capirono e lo accettarono prontamente per la sua istruzione e la sua abilità nello scrivere. Era un giovane intelligente di appena ventitré anni. Quasi subito venne impiegato come segretario, scrivano e contabile della piccola organizzazione della Chiesa in quel paese.

Egli e sua moglie volevano andare a Nauvoo, così salparono per l’America. A Nauvoo egli conobbe il profeta Joseph Smith e gli altri dirigenti della Chiesa. Lo utilizzarono in molte maniere interessanti, di nuovo perché aveva una bella scrittura e non faceva errori di ortografia. Avevano bisogno di un giovane delle sue capacità.

Tutto ben, se abbiamo fatto del nostro meglio

Dopo il martirio del Profeta, William Clayton partì con il gruppo di Brigham Young. Erano partiti a febbraio e ora era aprile. Mentre avanzavano faticosamente attraverso le praterie con carri, cavalli e tiri di buoi, sotto la pioggia, affondando nel fango dell’Iowa, lo scoraggiamento era generale. Il cammino era difficile, le persone morivano e nascevano dei bambini. Procedevano lentamente percorrendo soltanto poche miglia al giorno.

William Clayton scrisse: «Santi, venite senza alcun timor». Il cammino era difficile. I santi erano scoraggiati. «Lieto è il cammin. / Anche se duro è questo nostro errar, / verso il ciel noi andrem». Egli dava loro l’incoraggiamento necessario per continuare a camminare fino a che la situazione sarebbe migliorata.

Poi scrisse queste meravigliose parole: «Quel suol nell’Ovest in eredità / Dio darà al fedel». Anche se siamo qui impantanati e scoraggiati, vi sarà un cambiamento. Se abbiamo coraggio e fede, il Signore esaudirà le nostre preghiere. Avremo successo nella nostra impresa. L’inno dava loro speranza e incoraggiamento. «Quel suol nell’Ovest in eredità / Dio darà al fedel; / dove nessuno il male porterà». Parole commoventi, ispirate.

Poi l’ultima strofa: «E se la morte ci cogliesse un dì, / prima ancor d’arrivar… / Tutto ben, tutto ben!» Pertanto se moriamo dopo aver fatto del nostro meglio, e tutti un giorno dovremo morire, come noi ben sappiamo, potremo dire «Tutto ben, tutto ben!»

«Un dì la vita avremo ancor, / qual dolce pace ognuno avrà». Vedremo se le ruote dei carri rimarranno al loro posto, se i cerchioni delle ruote dei carretti a mano faranno il loro dovere, se noi potremo conservare il coraggio e la forza grazie alle nostre preghiere, e infine arriveremo laggiù. «Un dì la vita avremo ancor, / qual dolce pace ognuno avrà». «Tutto ben, tutto ben», se arriveremo laggiù e avremo il coraggio necessario per avere successo.

Tutto ben, se conduciamo una vita retta

Nel suo diario William Clayton scrisse: «Ho composto un nuovo inno: ‹Tutto ben›» ( William Clayton’s Journal [1921], 19). Mi piace il titolo originale di quest’inno: «Tutto ben, tutto ben», che spiega quello che ci accadrà quaggiù se viviamo come dobbiamo. Abbiamo lo schema, abbiamo le procedure, abbiamo le informazioni necessarie e se possiamo arrivare alla meta, se avremo ancora salva la vita, allora potremo cantare tutti: «Tutto ben, tutto ben!» Quest’inno è diventato «l’inno nazionale» della Chiesa.

Mio nonno, Horton David Haight, aveva quindici anni quando il secondo gruppo di santi, dopo quello di Brigham Young, arrivò nella valle dopo aver attraversato a piedi le praterie. Pertanto, quando parliamo di camminare con «fede in ogni passo», penso a mio nonno che fece proprio questo. A quindici anni non si viaggiava sul carro. Si era in prima fila, a spingere i cavalli e i buoi, a fare tutto ciò che era necessario. La ragazza che sposò in seguito, Louisa Leavitt, compì undici anni quando la sua famiglia arrivò nella valle. Pertanto anche la nonna deve aver attraversato a piedi le praterie.

Abbiamo davvero un grande retaggio. Dico a tutti voi che la Chiesa ha davanti a sé un grande futuro, come ha spiegato il nostro profeta. Ma il nostro successo dipende dal modo in cui viviamo, da come accettiamo i principi che conosciamo, dalla maniera in cui mettiamo in pratica i dettami del Vangelo e dal genere di esempio che diamo a coloro con i quali lavoriamo e che frequentiamo.

Tutto ben, se siamo fedeli

Quand’ero un ragazzo di circa dodici anni mi piaceva giocare a baseball. Non avevo né uniforme né scarpe apposite, avevo soltanto un vecchio guanto. Sognavo il grande avvenimento della mia vita, quando avrei giocato a baseball con i New York Yankees. Avrei giocato per loro nel campionato mondiale e fatto tanti punti. E sapete chi avrebbe fatto la parte del leone nell’incontro decisivo? Avrei fatto esplodere di gioia tutto lo stadio. Sarei diventato l’eroe del campionato mondiale. Pensavo che quello sarebbe stato il più bel momento della mia vita. Ma voglio che sappiate che ciò non è vero.

Alcuni anni fa sedevo nel Tempio di Los Angeles in una piccola sala per i suggellamenti insieme a mia moglie Ruby. C’erano anche i nostri figli con le loro mogli. Erano sposati da poco. Nostra figlia era inginocchiata all’altare con la mano in quella del giovane al quale stava per essere suggellata. Guardandomi attorno mi resi conto che quello era il più bel momento della mia vita, perché in quella stanza c’era tutto ciò che per me era prezioso, proprio tutto. Mia moglie era là, la mia dolce compagna per l’eternità. C’erano là i nostri tre figli con i loro compagni per l’eternità. Pensai: «David, in gioventù non avevi le idee chiare. Pensavi che un avvenimento d’importanza mondiale di qualche genere sarebbe stato il più bel momento della tua vita». Ma ora assistevo a quel grande momento. Ero là, lo sentivo, ne ero parte; e in quella piccola sala bianca dei suggellamenti, pulita, dolce, pura, insieme alla mia famiglia, là vissi il più bel momento della vita.

Vi porto la mia testimonianza che questo lavoro è vero. Come Santi degli Ultimi Giorni dobbiamo tenerci stretti alla fede che professiamo. Dobbiamo essere fedeli. Fedeli alla commovente testimonianza che ci è stata portata. Fedeli a Colui il Cui nome abbiamo preso su di noi. Dobbiamo vivere e proclamare la verità di quest’opera che si espande nel mondo.

Tratto da un discorso tenuto alla conferenza generale dell’ottobre 1997.