1990–1999
Gli eredi del regno di Dio
Aprile 1995


Gli eredi del regno di Dio

La nostra forza reale non sta tanto nella nostra diversità, quanto nella nostra unità spirituale e dottrinale.

Miei amati fratelli, sorelle e amici, trovandomi a questo pulpito come nuovo componente della Prima Presidenza di questa chiesa mi sovvengono le parole di Salomone: «Io non sono che un giovanetto, e non so come condurmi».1 Come Salomone, prego Dio di darmi un cuore intelligente. Sentiamo oltre ogni dire la mancanza del nostro caro amico e collega, presidente Howard W. Hunter. Onoriamo e lodiamo il suo nome. Il suo ricordo sarà per noi un perpetuo sostegno.

Il presidente Hinckley mi ha onorato più di quanto possano esprimere le mie parole nel chiedermi di servire come suo secondo consigliere. Penso che neppure mia madre sognasse che un giorno suo figlio si sarebbe seduto in queste poltrone.

Come ho detto ieri sera nella riunione generale del sacerdozio, il mio rapporto di lunga data con il presidente Gordon B. Hinckley mi ha sostenuto per la maggior parte della mia vita di adulto. Come sapete, egli è un uomo di virtù e talenti straordinari. Durante tutti questi lunghi anni egli ha ammaestrato, guidato e sostenuto ognuno di noi. Nel corso degli anni abbiamo visto crescere la sua forza man mano che il Signore lo ha chiamato a nuove responsabilità e lo ha onorato. Egli ha assunto compiti sempre più impegnativi nelle sue nuove chiamate, compresa quella di consigliere di tre Presidenti della Chiesa. Egli ha fatto onore in maniera straordinaria a ogni nuova chiamata che ha ricevuto con sempre maggiore ispirazione, intelligenza ed energia. Il suo ministero ha favorito il progresso del lavoro di Dio in tutto il mondo.

Sono anche consapevole del privilegio di aver potuto lavorare in stretta collaborazione con il presidente Thomas S. Monson sin da quando era l’apostolo di più recente chiamata. Il presidente Monson ha la fortuna di possedere una grande intelligenza e capacità. Egli è sempre stato un esemplare dirigente, sia da ragazzo che da uomo. Sin dai suoi primi anni la vita gli ha affidato grandi responsabilità per addestrarlo. Egli è un uomo che possiede una fede grande e semplice. La sua natura disponibile e compassionevole ha portato grandi benefici ai fedeli di questa chiesa durante i lunghi anni del suo ministero.

Oggi vorrei parlare ai membri della Chiesa di tutto il mondo. Spero che sapremo tutti superare le differenze di cultura, razza e lingua che esistono tra noi. Sin dai primi tempi della Chiesa le Autorità generali e i missionari si sono recati in gran parte della terra per proclamare il vangelo di Gesù Cristo restaurato dal profeta Joseph Smith e per istituire la Chiesa con le sue chiavi e la sua autorità in molti paesi. Un aspetto commovente e interessante del nostro ministero è stato quello di rendere il culto insieme a persone meravigliose di molte razze e culture. È stata una grande soddisfazione per la nostra anima sentire la loro forza spirituale e il loro amore, e amarli a nostra volta.

Ora la via si sta aprendo sempre più davanti alle nazioni non industrializzate. In alcuni di questi paesi una grande percentuale della popolazione è povera. Molti hanno minori possibilità di altri di procurarsi gli agi della vita e perfino alcune delle cose necessarie per vivere. Abbiamo visto uomini e donne lavorare duramente dalla mattina alla sera per pochi spiccioli. Tuttavia il loro sorriso e l’aspetto lieto indicano che essi trovano un certa felicità nella loro condizione in questa vita.

Alcuni potranno dire: «Dov’è mai la giustizia, quando alcuni figli di Dio godono di tanta buona salute e di tanti beni di questo mondo, mentre altri hanno così poco?» Molti di coloro che hanno in abbondanza sembrano non apprezzare quello che hanno. Ma noi vediamo anche la generosità dei membri di questa Chiesa che si adoperano per aiutare coloro che in tutto il mondo mancano del necessario per vivere. Essi contribuiscono generosamente nel soccorrere i poveri di molti paesi, anche se là non vi sono membri della Chiesa. Dal 1985 siamo andati in aiuto di centoquattordici paesi.2

Ho imparato ad ammirare, rispettare e amare le brave persone di ogni razza, cultura e nazione che ho avuto il privilegio di visitare. Per esperienza posso dire che nessuna razza o classe sociale sembra superiore alle altre per spiritualità e fedeltà. Coloro che sembrano meno generosi spiritualmente sono quelle persone – a prescindere dalla razza, cultura o nazionalità – di cui parla il Salvatore nella parabola del seminatore, «soffocati dalle cure e dalle ricchezze e dai piaceri della vita, e non arrivano a maturità».3

Uno degli esperti di sondaggi più famosi degli Stati Uniti, Richard Wirthlin, ha individuato mediante varie operazioni una espressione delle necessità fondamentali della popolazione degli Stati Uniti. Queste necessità sono: avere la stima di sé, la pace della mente ed essere contenti di sé. Ritengo che queste siano le necessità dei figli di Dio di ogni parte del mondo. Come possiamo soddisfare queste necessità? Suggerisco che dietro ognuna di esse c’è il bisogno di stabilire la propria identità personale di figlio di Dio. Tutte e tre queste necessità, a prescindere dall’etnia, cultura o nazione, possono essere soddisfatte se ci appelliamo alla divinità che è in noi. Come ebbe a dire il Signore stesso: «E lo Spirito dà luce ad ogni uomo che viene al mondo; e lo Spirito illumina ogni uomo nel mondo intero che ascolta la voce dello Spirito».4

Il presidente David O. McKay disse:

«Generalmente nell’uomo c’è un elemento divino che si sforza di spingerlo in avanti e in alto. Noi riteniamo che questo potere che è in lui sia lo spirito che proviene da Dio. L’uomo viveva prima di venire sulla terra, ed egli è qui ora per sforzarsi di perfezionare lo spirito che è in lui. A un certo punto della vita ogni uomo diventa consapevole del desiderio di entrare in contatto con l’Infinito. Il suo spirito si sforza di conoscere Dio. Questo sentimento è universale, e tutti gli uomini dovrebbero essere, nel senso più vero, impegnati nello stesso grande lavoro: la ricerca e lo sviluppo della pace e della libertà spirituali».5

Quando come umili servi di Dio, Autorità generali, missionari e come semplici fedeli viaggiamo in tutto il mondo, siamo obbligati a chiederci: cosa possiamo fare per i popoli della terra? Cosa possiamo dare che nessun altro è in grado di dare? Come possiamo giustificare il grande impegno di fatica, tempo e mezzi richiesto per andare «per tutto il mondo»6, come comandò il Salvatore? Non possiamo cambiare l’economia delle nazioni. Non cerchiamo di cambiare il tipo di governo. La risposta è semplice. Possiamo dare loro la speranza a noi data dal Salvatore: «pace in questo mondo e vita eterna nel mondo a venire».7 La vita delle persone cambia quando i servi di Dio insegnano ai figli di Dio di ogni parte del mondo ad accettare e osservare i comandamenti di Dio. Chiunque, a prescindere dalla cultura o dalla condizione economica, può attingere al suo pozzo spirituale e abbeverarsi di quell’acqua. «Chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete», disse il Salvatore. «Anzi, l’acqua che io gli darò, diventerà in lui una fonte d’acqua che scaturisce in vita eterna».8 Le necessità fondamentali dell’umanità individuate dal Dott. Wirthlin – avere la stima di sé, la pace della mente e essere contenti di sé – possono essere soddisfatte mediante la fedele obbedienza ai comandamenti di Dio. Questo è vero per ogni persona, di ogni paese o cultura.

Anche se molti mancano del necessario per vivere, trovo conforto nelle parole di Nefi: «Ma erano tutti … figliuoli di Cristo ed eredi del regno di Dio».9

Man mano che entriamo in altri paesi del mondo troviamo nella Chiesa una ricca diversità culturale. Eppure ovunque può esservi l’«unità della fede».10 Ogni gruppo porta al tavolo del Signore doni e talenti speciali. Tutti possiamo imparare qualcosa di prezioso gli uni dagli altri. Ma ognuno di noi deve anche cercare volontariamente di godere di tutte le alleanze, ordinanze e dottrine del vangelo del Signore Gesù Cristo che unificano e salvano.

Nella grande diversità di popoli, culture, condizioni ricordiamo che tutti siamo eguali al cospetto del Signore, come insegnò Paolo: «Siete tutti figliuoli di Dio, per la fede in Cristo Gesù.

Poiché voi tutti che siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo.

Non c’è qui né Giudeo né Greco; non c’è né schiavo né libero; non c’è né maschio né femmina; poiché voi tutti siete uno in Cristo Gesù.

E se siete di Cristo, siete dunque progenie d’Abramo; eredi, secondo la promessa»11

Diventando membri della Chiesa non perdiamo la nostra identità. Diventiamo eredi del regno di Dio, essendoci uniti al corpo di Cristo e avendo messo spiritualmente da parte alcune delle nostre differenze personali per unirci in una più grande causa spirituale. Noi diciamo a tutti coloro che si sono uniti alla Chiesa: conservate tutto quello che vi è di nobile, buono e edificante nella vostra cultura e nella vostra identità personale. Tuttavia, sotto l’autorità e il potere delle chiavi del sacerdozio, tutte le diversità scompaiono se cerchiamo di diventare eredi del regno di Dio, ci uniamo nel seguire coloro che possiedono le chiavi del sacerdozio e cerchiamo la divinità che è in noi. Tutti siamo benvenuti e apprezzati. Ma c’è soltanto un regno celeste di Dio.

La nostra forza reale non sta tanto nella nostra diversità, quanto nella nostra unità spirituale e dottrinale. Per esempio, la preghiera battesimale e il battesimo per immersione nell’acqua sono gli stessi in tutto il mondo. Le preghiere sacramentali sono le stesse in ogni dove. Cantiamo gli stessi inni in lode a Dio in ogni paese.

Le elevate norme morali di questa chiesa di applicano a tutti i fedeli di ogni paese. L’onestà e l’integrità sono insegnate e richieste ovunque. La castità prima del matrimonio e l’assoluta fedeltà al marito o alla moglie dopo il matrimonio sono richieste ai membri della Chiesa di tutto il mondo. I membri della Chiesa che violano queste elevate norme di condotta morale mettono a rischio la loro appartenenza alla Chiesa in qualsiasi parte del mondo.

I requisiti da osservare per poter andare al tempio non cambiano da un posto all’altro. Là dove è disponibile un tempio, l’autorità del sacerdozio non conferisce benedizioni più grandi o più piccole in un posto rispetto a un altro. Il culto reso nel tempio è un esempio perfetto della nostra unità come membri della Chiesa. Tutti noi rispondiamo alle stesse domande per stabilire la dignità di entrare nel tempio. Tutti gli uomini vestono nello stesso modo. Tutte le donne vestono nello stesso modo. Quando entriamo nel tempio ci lasciamo alle spalle le cure del mondo. Ognuno riceve le stesse benedizioni. Tutti fanno le stesse alleanze. Tutti siamo eguali dinanzi al Signore. Tuttavia, nella nostra unità spirituale, c’è ampio spazio per l’individualità e l’espressione dei singoli. In questo contesto siamo tutti eredi del regno di Dio. Il presidente Hunter lo espresse in modo esemplare: «Il segreto dell’unità della Chiesa è l’unità dell’anima, dell’anima che è in pace con se stessa e non è preda di conflitti e tensioni interiori».12

La ricchezza spirituale delle nostre riunioni sembra aver poco a che fare con gli edifici o i paesi in cui ci riuniamo. Molti anni fa andammo a Manaus, in Brasile, città che si trova sul corso settentrionale del Rio delle Amazzoni, circondata dalla giungla, per incontrarci con i missionari e i pochi santi che vivevano in quella regione. Ci riunimmo in un’umile dimora priva di vetri alle finestre. Faceva un caldo tremendo. I bambini sedevano sul pavimento. Il presidente della missione, fratello Helio da Rocha Camargo, dirigeva la riunione e invitò un fedele fratello a dire la preghiera di apertura. Quell’umile fratello rispose: «Sarò lieto di pregare, ma posso anche portare la mia testimonianza?» A una sorella fu chiesto di dirigere il canto. Ella rispose: «Sarò lieta di dirigere il canto, ma la prego, mi conceda anche di portare la mia testimonianza». E così avvenne per tutta la riunione, per tutti coloro ai quali fu chiesto di prendere parte alle attività di quella riunione. Tutti si sentirono spinti a portare la loro profonda testimonianza del Salvatore e della Sua missione e della restaurazione del vangelo di Gesù Cristo. Tutti i presenti a quella occasione vollero attingere profondamente alle radici della loro spiritualità, ricordando le parole del Salvatore: «Dovunque due o tre son raunati nel nome mio, quivi son io in mezzo a loro».13 Questo essi fecero, più come eredi del regno di Dio che come membri brasiliani della Chiesa.

La molteplicità di lingue e culture è sia un’occasione di progresso che una sfida da superare per i membri della Chiesa. Fare in modo che ognuno ascolti il Vangelo nella propria lingua richiede grandi sforzi e risorse. Lo Spirito tuttavia è una forma di comunicazione superiore al linguaggio. Abbiamo partecipato a molte riunioni in cui le parole dette erano del tutto incomprensibili, ma lo Spirito portava una possente testimonianza di Gesù Cristo, il Salvatore e Redentore del mondo. Speriamo che nessun gruppo minoritario, nonostante la diversità di lingua, non si senta mai un intruso nel «corpo di Cristo»14 sì da voler desiderare di rendere il proprio culto esclusivamente nell’ambito della propria cultura etnica. Speriamo che coloro che fanno parte della cultura dominante si adoperino per aiutare i loro fratelli e sorelle nel Vangelo, in modo da stabilire fermamente una comunità di santi in cui ognuno si senta necessario e desiderato.

La pace spirituale non si trova nell’ambito di una particolare razza, cultura o nazionalità; si trova piuttosto tramite il nostro impegno verso Dio e verso le alleanze e le ordinanze del Vangelo. Ognuno di noi, a prescindere dalla nazionalità, deve attingere profondamente ai più nascosti recessi della sua anima per trovare la scintilla di divinità che ivi alloggia e implorare fervidamente il Signore per ricevere un’investitura di saggezza e ispirazione. Soltanto quando attingiamo così profondamente ai recessi del nostro essere possiamo scoprire la nostra vera identità, la nostra capacità di amare e il nostro scopo in questa vita. Soltanto se cerchiamo di liberarci dell’egoismo e del desiderio di riconoscimenti e di ricchezza possiamo trovare un certo sollievo dalle ansietà, dalle ferite, dolori e preoccupazioni di questo mondo. In questa maniera, come ebbe a dire il presidente J. Reuben Clark jun., possiamo «far fiorire e fruttificare le latenti ricchezze dello spirito».15 Dio può non soltanto aiutarci a raggiungere una gioia e contentezza sublimi ed eterne, ma anche aiutarci a cambiare, in modo che possiamo diventare eredi del regno di Dio.

Questa è veramente la scoperta dell’elemento divino che sta in noi. Abbiamo in noi l’autorità di rispondere alle sfide della vita in qualsiasi maniera desideriamo. In questo modo acquisiamo la padronanza di noi stessi in qualsiasi circostanza. Come il Salvatore disse alla donna dal flusso di sangue: «La tua fede t’ha guarita».16

Ho l’assoluta certezza che Gesù è il nostro divino Salvatore, Redentore e Figlio di Dio Padre. Sono convinto di questa realtà mediante una sicura percezione tanto sacra che non posso parlarne. So, e ne porto testimonianza con assoluta consapevolezza, che Joseph Smith restaurò le chiavi della pienezza dei tempi, e che ogni presidente della Chiesa ha tenuto queste chiavi, come fa il presidente Gordon B. Hinckley oggi. Nel nome di Gesù Cristo. Amen. 9

  1. 1 Re 3:7.

  2. «Helping Hearts and Hands Span the Globe», Church News, 11 febbraio 1995, pagg. 8-10.

  3. Luca 8:14.

  4. DeA 84:46.

  5. Conference Report, ottobre 1963, pag. 7.

  6. Marco 16:15.

  7. DeA 59:23.

  8. Giovanni 4:14.

  9. 4 Nefi 1:17.

  10. Efesini 4:13.

  11. Galati 3:26-29

  12. That We Might Have Joy (Salt Lake City: Deseret Book Co., 1994) pag. 50.

  13. Matteo 18:20.

  14. 1 Corinzi 10:16-17.

  15. Citato in Providing in the Lord’s Way: A Leader’s Guide to Welfare (Salt Lake City: The Church of Jesus Christ of Latter-day Saints, 1990), pag. i.

  16. Matteo 9:22.