1990–1999
«Pasci le mie pecore»
Aprile 1994


«Pasci le mie pecore»

Quelli di noi ai quali è affidato il compito di custodi del prezioso gregge del Signore devono stare accanto agli agnelli, quando sono necessari.

Anziano Wirthlin, ho assistito all’incontro di rugby di cui ha parlato, e spesi dieci centesimi di dollaro per vedere una grande partita. Ma la perdono per non aver fermato Whizzer White. Come l’anziano Wirthlin, questa sera voglio parlare al grande esercito di detentori del Sacerdozio di Aaronne, e in particolare a coloro che sono stati chiamati in questi tempi difficili per rivelazione divina ad essere i dirigenti del sacerdozio. Da sempre nutro sentimenti di profonda gratitudine per i dirigenti del Sacerdozio di Aaronne, che mi hanno aiutato in tanti modi nella mia giovinezza e che non riuscirò mai a ripagare. Quei bravi uomini mi aiutarono a riempire il vuoto creatosi nella mia vita quando mio padre, che per quasi tutto il periodo del suo matrimonio era stato vescovo del nostro rione, ci fu improvvisamente tolto da una malattia quando avevo appena cinque anni.

Qualche anno dopo, nel 1940, quando ero presidente del quorum dei diaconi del mio rione, ricevetti una lettera del Vescovato Presiedente della Chiesa firmata da LeGrand Richards, Marvin O. Ashton e Joseph L. Wirthlin. Quella lettera diceva tra l’altro: «Il Vescovato Presiedente della Chiesa desidera porgere le sue congratulazioni e i migliori auguri alla presidenza del quorum dei diaconi del Rione di Taylorsville per aver raggiunto una frequenza superiore al 90% alle riunioni del sacerdozio e sacramentale per l’anno 1939». Riuscite a immaginare, fratelli, l’impatto di quella lettera sui detentori del Sacerdozio di Aaronne del nostro rione, e in particolare sui tre diaconi di tredici anni che formavano la presidenza del quorum? Da quel momento quei tre uomini del Vescovato Presiedente diventarono i miei eroi.

Riflettendo in età più matura su quell’avvenimento, mi resi conto che quella lettera era in gran parte dovuta agli sforzi di un fedele e coscienzioso vescovato di rione, il cui secondo consigliere, assegnato al quorum dei diaconi, spesso partecipava alla riunione settimanale di programmazione della presidenza del nostro quorum. Era sempre presente per almeno una parte delle nostre riunioni settimanali del quorum. Il nostro consulente di quorum era quel genere di umile dirigente che il Salvatore cercava di far diventare Pietro quando ammonì il futuro profeta e capo della Chiesa con queste parole: «Pietro, quando tu ti sarai convertito, conferma i tuoi fratelli» (vedi Luca 22:32).

Mentre ogni domenica mattina sedevamo in una poco illuminata stanza nell’interrato di una cappella costruita nel diciannovesimo secolo, quel fedele consulente del quorum dei diaconi apriva il cuore al suo giovane gregge di giovani impazienti d’imparare. Con amore sincero e parole semplici, egli ci parlava della follia di usare le sostanze dannose menzionate dal Signore nella Parola di Saggezza; sottolineava la necessità che ci mantenessimo puri di mente e di corpo per essere degni di servire il Signore sul campo di missione. Ricordo che nei momenti opportuni, con le lacrime agli occhi, portava la sua umile testimonianza ai membri del quorum dei diaconi della divinità del Salvatore e della missione profetica di Joseph Smith.

Ci insegnava con cura che eravamo i custodi dei nostri fratelli e ci convinceva che lo scopo del quorum era quello di aiutare ognuno dei suoi componenti a vivere meglio. Metteva in risalto il fatto che quando distribuivamo il sacramento o raccoglievamo le offerte di digiuno oppure spaccavamo la legna per le vedove del nostro rione, facevamo esattamente quello che il Signore voleva che facessimo. Quando un componente del nostro quorum proveniente da una famiglia meno attiva si ammalò gravemente e non poté più venire alle riunioni del sacerdozio, andavamo a casa sua, e là egli ascoltava la lezione settimanale del sacerdozio e godeva della compagnia degli altri membri del suo quorum. Quando un altro giovane meno attivo, che viveva con sua madre sola che non apparteneva alla Chiesa, cominciò a non venire più in chiesa, le riunioni del sacerdozio furono tenute anche a casa sua. Entrambi quei giovani in anni più recenti, essendo stati chiamati a posizioni di grande responsabilità, hanno potuto aiutare innumerevoli altri giovani membri della Chiesa.

Molti anni dopo mi trovai al capezzale del letto di ospedale di quel caro consulente del nostro quorum che stava per scambiare questa vita con l’eternità. Nonostante le sue sofferenze, volle usare il breve tempo che gli rimaneva per esaminare insieme con me la situazione in cui si trovava ognuno dei quei diaconi che avevano appartenuto a quel quorum più di trenta anni prima. Egli aveva veramente preso a cuore le istruzioni impartite dal Salvatore a Pietro sulle rive del Mare di Tiberiade, nelle Sue ultime parole rivolte agli Apostoli: «Pasci i miei agnelli … Pastura le mie pecorelle … Pasci le mie pecore» (Giovanni 21:15-17).

La battaglia che ha come posta le anime delle preziose pecore e dei preziosi agnelli del nostro Padre celeste infuria in ogni angolo del mondo.

Una cultura sempre più permissiva, tanto influenzata dai mass media e in particolare dalla televisione, assoggetta tutti noi, e in particolare i nostri giovani, a un incessante attacco contro i valori morali. La televisione in America, nella maggior parte dei casi, ha quasi da sola rimosso la volgarità dalla cultura moderna facendone la «norma». Il risultato è una cultura di massa patrocinata da profittatori che sfruttano la sete di volgarità, pornografia e anche inciviltà. Tali fattori non possono che esercitare un effetto demoralizzante sulla fede nella religione e sulle convinzioni dei nostri bravi giovani.

Queste sono le condizioni previste dai profeti della Bibbia e del Libro di Mormon. E questo è il mondo in cui i fedeli detentori del Sacerdozio di Aaronne del nostro tempo devono vivere e dal quale devono emergere valorosamente come vincitori. In questo scenario mondiale i dirigenti del Sacerdozio di Aaronne devono aiutare con affetto e con pazienza ogni giovane a:

  • convertirsi veramente al vangelo di Gesù Cristo e mettere in pratica i suoi insegnamenti;

  • fare onore alle sue chiamate nel sacerdozio;

  • svolgere un servizio utile al prossimo;

  • prepararsi a ricevere il Sacerdozio di Melchisedec;

  • impegnarsi e prepararsi degnamente a svolgere una missione onorevole;

  • vivere in modo degno da ricevere le alleanze del tempio e prepararsi a diventare un degno marito e padre.

Fratelli, assicuratevi che l’affetto e l’interesse del sacerdozio siano rivolti ad ogni giovane del vostro quorum, e che ognuno di loro sia incluso nelle attività.

Da quando siamo tornati in patria, dopo una permanenza in Africa di tre anni per svolgere un incarico affidatoci dalla Chiesa, e dopo aver rivisto i nostri ventitré nipoti, a me e a mia moglie spesso è stato chiesto, durante le nostre visite, di raccontare ai bambini, pronti per andare a letto, una storia che fosse: primo, vera; secondo, interessante e, terzo, che non avessero già ascoltato prima. Tutti voi, nonni qui presenti questa sera, potete rendervi conto della difficoltà di soddisfare una simile richiesta. Tuttavia una di queste storie vere mi venne a mente quando di recente siamo stati ospiti di mio figlio e di sua moglie, che vivono in una città del centro degli Stati Uniti insieme ai loro cinque figli, fra i quali tre detentori del Sacerdozio di Aaronne: un sacerdote, un insegnante e un diacono. La storia aveva come protagonista il loro padre quando aveva appena sei anni.

Sono cresciuto in una zona rurale della Contea di Salt Lake, in un periodo in cui era una necessità economica allevare animali da cortile e da pascolo di ogni genere. Gli animali che preferivo erano le pecore – forse per il fatto che le pecore non richiedono di essere munte due volte al giorno sette giorni la settimana.

Volevo che i nostri figli potessero conoscere la gioia di essere custodi di tali animali. A ognuno dei nostri figli più grandi fu affidata una pecora, per insegnare loro la responsabilità di provvedere a questi animali e agli agnelli che si sperava sarebbero venuti.

Un freddo mattino di marzo il nostro secondo figlio, che aveva compiuto da poco i sei anni, mi telefonò in ufficio tutto emozionato per dirmi: «Papà, riesci a indovinare? Ester [Ester era la sua pecora] – ha appena avuto due agnellini. Per favore, torna a casa e aiutami a badare a loro». Chiesi a Gordon di tenere sotto attenta osservazione gli agnelli per assicurarsi che ricevessero il latte dalla madre, e che tutto sarebbe andato bene. Prima di mezzogiorno dovetti interrompere il mio lavoro per rispondere a un’altra telefonata. Era ancora mio figlio che, con voce preoccupata, mi disse: «Papà, gli agnelli non vanno molto bene. Non riescono a prendere il latte dalla madre e sembra che abbiano molto freddo. Per favore, vieni a casa».

La mia risposta probabilmente lasciò trapelare in parte l’irritazione che provavo per essere stato distolto nuovamente dal lavoro importante che stavo svolgendo. Risposi quindi: «Gordon, gli agnelli stanno bene. Tu guardali e, quando papà tornerà a casa questa sera, faremo in modo che la madre possa nutrirli, e tutto andrà bene». Di nuovo, nel pomeriggio, ricevetti una terza e più urgente telefonata. Ora la voce dall’altra parte della linea stava implorando: «Papà, devi venire a casa subito. Gli agnelli sono sdraiati a terra, e uno di loro è già molto freddo». Nonostante gli impegni di lavoro cominciavo a provare un po’ di preoccupazione; cercai di rassicurare il proprietario di sei anni della pecora dicendo: «Gordon, porta gli agnelli in casa. Strofinali con un telo di sacco per riscaldarli. Quando papà tornerà a casa tra poco, mungeremo la madre e daremo il latte agli agnelli, e staranno bene».

Due ore dopo, quando girai sul vialetto che portava a casa nostra, mi venne incontro il bambino con gli occhi pieni di lacrime, che teneva tra le braccia un agnello morto. Il suo dolore era immenso. Cercai allora di fare ammenda, mungendo rapidamente la madre e cercando di versare un po’ di latte da una bottiglia nella bocca dell’agnello ancora in vita, ma ormai molto debole. A quel punto Gordon uscì dalla stanza; tornò poco dopo con uno sguardo di speranza negli occhi. Mi disse: «Papà, ho pregato di poter salvare questo agnello, e sento che tutto andrà bene». La triste conclusione di questa storia, fratelli, è che nel giro di pochi minuti anche il secondo agnello morì. Allora, con uno sguardo che ricorderò per sempre, mio figlio di sei anni, che aveva perduto entrambi i suoi agnelli, guardò negli occhi di suo padre e, con le lacrime che gli bagnavano le guance, disse: «Papà, se fossi venuto a casa quando ti ho telefonato la prima volta, avremmo potuto salvarli entrambi».

Cari fratelli del sacerdozio, quelli di noi ai quali è affidato il compito di custodi del prezioso gregge del Signore devono stare accanto agli agnelli, quando sono necessari. Dobbiamo insegnare con amore i principi della fede e della bontà ed essere noi personalmente dei buoni esempi per gli agnelli del nostro Padre celeste. Ogni membro del quorum deve essere preparato per il suo futuro ruolo di detentore del santo Sacerdozio di Melchisedec, in questo mondo afflitto dal peccato e in preda alla disperata necessità di una decisa guida morale.

Vi porto la mia testimonianza che questo è il lavoro di Dio – è il lavoro più importante al mondo a cui possiamo dedicarci. Prego umilmente che sapremo essere strumenti nelle Sue mani per salvare i preziosi agnelli per cui Egli dette la Sua vita. Nel nome di Gesù Cristo. Amen. 9